La Torre di Babele è uno dei numerosi miti biblici dell’antico testamento, il suo concetto è stato esplorato in numerose versioni e miti simili da varie civiltà antiche.
I fatti però sono quasi identici in tutti questi racconti. Nella versione cristiana, l’essere umano, allora con un unico linguaggio comune, costruisce un’enorme torre, un tempio diretto al Cielo per dimostrare l’incredibile ingegno e tecnica dell’uomo.
Dio, vedendo la costruzione, si sdegna e non tollera che l’umanità possa raggiungere il Paradiso autonomamente e senza approvazioni divine. Decide così di sparpagliare gli uomini per la Terra, dividendo i loro linguaggi e impedendo loro di comunicare e proseguire l’impresa; oppure, in altre versioni, decidendo direttamente di distruggere la torre.
La Torre di Babele è una metafora dei corpi queer o di ogni esistenza non conforme, un’impresa titanica dove la forza risiede della comunità che sfida lo status quo e il potere patriarcale. Da qui la frase “se il mio corpo è un tempio, sarò la Torre di Babele”, simbolo di anticonformismo, ribellione e radicalizzazione contro ogni corpo oppresso, in particolare i corpi femminili e trans*, perennemente prigionieri e subordinati della società eterocis e capitalista.
Il mio però è un desiderio: continuare la nostra “Torre” anche se divisi o lontani dalla nostra comunità. Le persone queer hanno fatto tesoro delle difficoltà, la nostra forza risiede nella comunità che ci circonda. Parleremo sempre “la stessa lingua”, unit3 e solid3 contro la “volontà divina”.